La carbunera

Ricostruzione dell’antica scomparsa attività di produrre  carbone nell’Appennino piacentino-parmense da parte dei carbonai toscani, con le caratteristiche delle diffuse carbonaie piacentine. 

Fare il carbone: un mestiere antico.

Fare il carbone era un’attività molto diffusa sull’Appennino piacentino e parmense ed è completamente scomparsa da alcuni decenni a causa della diffusione della rete elettrica e del ricorso ai combustibili moderni. Essa era praticata da alcuni secoli ed era collegata alla produzione e alla lavorazione del ferro, che aveva il suo centro principale nella Val Nure: esso veniva estratto nelle miniere di Ferriere e, dopo una prima trasformazione in ferro grezzo, veniva portato a valle in officine presso mulini con i magli per rame e ferro (Carmiano, Albarola, Ponte dell’Olio e Folignano) per essere ridotto in formati semilavorati; addirittura a Carmiano nei decenni centrali del  secolo XVII era attiva una fabbrica di canne da archibugio condotta da Pompeo Gioia.

Nel 1574 Ottavio Farnese, secondo duca, acquistò da Ettore Nicelli le miniere del ferro dell’alta Val Nure e di conseguenza furono emanate disposizioni molto rigide sull’obbligo di 109 Comuni piacentini di contribuire annualmente con taglio di legna destinata alle ferriere (il maggiore contribuente era Montechiaro con 339 trabucchi). Al conduttore delle ferriere dovevano essere consegnate ogni anno 150 some di carbone (una soma corrisponde a 21 pesi, cioè a 168 chili), oltre a quello che veniva cavato dalla legna dei boschi facenti parte della Riserva Ducale per il raggio di otto miglia dalle ferriere, come ricorda la Grida del 21 agosto 1728; lo stesso conduttore pagava un rimborso detto “boscatico” di otto soldi per soma ai proprietari dei boschi. Per poter “far carbone” occorreva una espressa licenza del Magistrato quando il carbone non si riusciva ad ottenere dalla legna dei boschi riservati; per questo capitava che alcuni boschi, dislocati  oltre le otto  miglia previste, venissero rasi al suolo per fornire legna da carbone, con la conseguente difficoltà di provvedere per le urgenze quando il forno rischiava di spegnersi. Il carbone, contrariamente alle disposizioni, si vendeva a prezzi superiori e veniva portato a Piacenza, senza riguardo alle necessità delle Fabbriche ducali. Tutta questa realtà si protrasse fino alla fine del Settecento e dopo il periodo napoleonico, con la dismissione delle Ferriere, decaddero le prescrizioni sugli approvvigionamenti di legname per il carbone.

Anche il trasporto del carbone veniva disciplinato da Gride, come quella del 27 ottobre 1768 per la zona di Bettola, per cui i mulattieri e i possessori di muli abitanti nei comuni della  media Val Nure erano obbligati a prestarsi alla “condotta del carbone”nella misura di due viaggi per ciascuna mula per ogni settimana, con l’applicazione di multe salate per  il mancato rispetto degli obblighi. Nel corso del secolo XVIII acquista forte importanza logistica lo “Stradone per Genova” attraverso la Valle del Taro, che fu allargata e dotata di poste da partire dal 1682, quando tutto lo Stato Landi venne acquisito dai Farnese tramite investitura imperiale fino a diventare una grande via di comunicazione con il governo Du Tillot dal 1756 in poi; le poste vennero ulteriormente potenziate con Maria Luigia e case cantoniere furono costruite attorno al  1880 a Luneto, Bore e Pelizzone.

A tutta altra storia rimanda il linguaggio della carboneria, utilizzato dai patrioti libertari lombardi ed emiliani nel primo ventennio dell’Ottocento per sfuggire ai controlli della polizia austriaca sulle lettere. Le Società Segrete erano formate da oppositori della Restaurazione dopo il Congresso di Vienna e usavano il linguaggio derivato dal comune  mestiere del carbonaio-carbonaro: gli affiliati si chiamavano buoni cugini, di grado inferiore gli apprendisti e di grado superiore i maestri; un gruppo di 20 cugini formava una baracca o una vendita. La carboneria entrò in crisi con il sorgere del movimento mazziniano e con l’ascesa risorgimentale piemontese.

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