La tutela dei beni culturali in Italia dal secolo XVIII

 

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LA TUTELA DEI BENI CULTURALI IN ITALIA

La tutela, la protezione del patrimonio artistico e dei monumenti è sempre stata una forte preoccupazione dei governanti italiani, che in ogni epoca si trovavano davanti capolavori assoluti e una massa enorme di opere artistiche di straordinaria importanza e nel contempo i rischi delle vendite inconsulte, delle sottrazioni e delle sparizioni per mano dei sovrani europei, che volta per volta si innamoravano di quei tesori e facevano di tutto per averli per apparire grandi in patria con collezioni prestigiose di opere degli artisti migliori. I più solleciti furono i papi, che in superficie per costosissime ricchissime committenze e nel sottosuolo per stratificate intatte e meravigliose presenze archeologiche disponevano di risorse infinite. Dopo gli incarichi come curatori delle antichità dati rispettivamente a Raffaello e a Michelangelo dai pontefici Leone X Medici e Paolo III Farnese, i cardinali camerlenghi si incaricavano di proteggere attraverso bandi con allegati elenchi opere antiche e moderne a partire dal sec. XVII; infine si giunse al chirografo di Pio VII del 1802, che funge da pietra miliare della tutela, per il quale Antonio Canova venne incaricato della "conservazione dei monumenti e delle produzioni delle Belle Arti" e per il quale nacquero l'etica conservativa, la ricerca scientifica e la didattica diffusa attraverso l'attività di accademia; egli sarà inviato a Parigi nel 1816 per ottenere la restituzione delle opere trafugate. Per Piacenza e Parma fu inviato Giuseppe Poggi La Cecilia, che ricomprò addirittura il Codice pergamenaceo di Angilberga dell'anno 827, ora alla Biblioteca Comunale di Piacenza. Ma l'atto istitutivo della normativa, per cui la conservazione da reale divenne legale, fu l'EDITTO del card. camerlengo Bartolomeo Pacca del 1820, uscito appena dopo le brutali sottrazioni napoleoniche (i francesi, si diceva, non sono tutti ladri, ma b(B)uonaparte sì; avevano rubato anche il papa) e dopo le benemerite restituzioni dopo il congresso di Vienna. "Quelle stesse passate vicende, che fecero temporaneamente perdere a Roma molti e molto stimabili e preziosi Capi d'Opera per Arte, per Antichità e per Erudizione, de' quali per un tratto di rettitudine, che ha fatto tanto onore ai Sovrani, dai quali è proceduto, fu avventurosamente ristorata, fecero del pari obliare le medesime più recenti prescrizioni Sovrane; per le quali cose Sua Beatitudine, intenta sempre alla speciale protezione delle Belle Arti, ci ha comandato coll'Oracolo della sua viva Voce di rinnovare, aggiungere e promulgare tutti quei Regolamenti, che tender possano a questo lodevole scopo, derogando alle passate Costituzioni, che vi si opponessero, e richiamandole in pieno vigore per il rimanente." In attuazione fu costituita la COMMISSIONE DELLE BELLE ARTI E D'ANTICHITÀ AD ORNAMENTO DEL PONTIFICI MUSEI, composta da ispettori, commissari, un esperto dell'Accademia di San Luca, un magistrato, la quale a sua volta doveva nominare le Commissioni delle province dei Domini Pontifici con i medesimi compiti di vigilanza e controllo e di segnalazione di rischi. Lo strumento principe da compilare era la distinta Nota, cioè la registrazione delle opere che ogni assegnatario di enti ecclesiastici o pubblici doveva consegnare e aggiornare. La Commissione centrale aveva le seguenti prerogative:

  • notificare il vincolo delle singole opere e il diritto di prelazione per l'acquisto in caso di vendita da privati

  • concedere o meno l'estrazione (esportazione) di opere, concedere e sorvegliare scavi archeologici, cui spettava l'obbligo di presentare la dichiarazione degli oggetti ritrovati

  • comminare ammende salate in caso di inadempienza

  • concedere il cavamento della pozzolana, ottimo legante cementizio per affreschi

  • vietare l'asportazione dei opere dalle chiese da parte dei rettori

  • concedere o prescrivere restauri a personale professionale accreditato.

    Come si può dedurre l'EDITTO, di estrema modernità per la tipologia delle competenze, doveva essere esposto in ogni luogo, anche commerciale, interessato alla presenza di opere artistiche.
    L'altro giro storico di boa fu la liquidazione (in effetti la confisca) dell'asse ecclesiastico a seguito della soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose non funzionali nel 1866; l'obiettivo della legislazione laica sabauda era quello di costringere la Chiesa a convertire il ricavato della vendita dei propri beni immobili in beni mobili finanziari, ad esempio titoli di stato. Questa politica era stata inaugurata già prima con la legge sabauda n. 878/1855, che abrogò il riconoscimento civile

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a numerosi ordini religiosi incamerandone i beni, come era già successo in altri stati (Toscana, Francia); ma prima ancora erano uscite in Europa nella metà Settecento le leggi contro i gesuiti e la Manomorta. Nel complesso il risultato dell'incameramento fu poco redditizio per la finanza statale, infatti la grande quantità dei beni ecclesiastici e privati immessi massicciamente sul mercato con vendite all'incanto creò un ribasso generalizzato dei prezzi del mercato immobiliare e anche i beni trattenuti dal demanio e destinati a caserme, scuole e uffici pubblici furono di utilità limitata sia per l'ubicazione e sia per la tipologia dei locali rispetto alla nuove funzioni. Inoltre era previsto che i beni demaniali andavano venduti "esclusivamente" ai creditori dello Stato (in cambio della restituzione dei titoli del notevole debito pubblico accumulato anche per le spese di guerra. Per estensione applicativa in tutti i Capoluoghi delle province e dello stato unitario si formarono le Commissioni per le Belle Arti e i monumenti, che provvedevano a far pervenire il patrimonio ecclesiastico degli enti soppressi o dismessi alle Biblioteche e ai Musei Civici, che già erano sorti attorno a nuclei pubblici o donazioni private da qualche decennio; questo è un tema che per Piacenza ha un suo filone di ricerca notevole; anche qui purtroppo una parte dei beni era già stata trafugata prima della presa di possesso delle strutture ecclesiastiche.

La legislazione moderna della tutela nasceva sotto il governo Giolitti: nel 1902 furono costituite le prime Soprintendenze, due anni dopo furono definite con le specifiche competenze delle stesse, cioè 18 ai monumenti, 14 quelle antichità e 15 alle gallerie; la normativa era consegnata alle leggi 364/1909 per antichità e belle arti e alla 688/1912, che estendeva la tutela alle ville e ai giardini; in pochi mesi uscirono i regolamenti attuativi e la rete poté protettiva essere avviata; riprendeva la stessa giurisdizione pontificia: diritto di controllo, di autorizzazione e di sanzione. Nel 1923 uno dei primi atti del regime fu quello di ridurle a 25 e di nominarle non più per concorsi ad locum, ma di nominarle di ruolo dal centro ministeriale con attenzione alla fedeltà ideologica. La successiva legge-quadro rimasta in piedi per oltre sei decenni è la ben nota 1089 del 1939 sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico in 72 articoli, che sostituisce e aggiorna la 364/1909. Si può dire che nel primo cinquantennio della Repubblica non intervennero modificazioni di rilievo: la legge 1552/1961 che autorizzava interventi di restauro anche senza il parere del consiglio superiore e prevedeva rimborsi spese al privato che eseguiva un piano di restauro ministeriale e che fu utile anche per il restauro delle chiese; le norme per le mostre (328/1950 e 411/1968), la classificazione dei musei non statali in quattro categorie (multipli, grandi, medi, minori).

La svolta verso il decentramento del controllo avvenne con il DPR 3/1972 (sulla base degli art. 87, 117, 118 e VIII dispos. t. f. della Costituzione, per cui le funzioni amministrative in materia di assistenza scolastica e di musei e biblioteche furono trasferite alle Regioni e agli Enti Locali territoriali (art. 7-8). Con il DPR 616/1977 venne pienamente attuata la delega alle Regioni e promessa la riforma della legge 1089 entro due anni (!). Subito nel 1974 la Regione Emilia Romagna fondava l'Istituto Beni Culturali, un gioiello impreziosito dal pensiero di Andrea Emiliani e impiegato per le rilevazioni delle raccolte e delle strutture bibliotecarie e museali, ed emanava la LR 20 del 1990 Norme in materia di Musei di Enti Locali, non precoce al momento e lasciata invecchiare poi. L'evento del secolo, insieme al decentramento amministrativo, è la creazione del Ministero per i Beni culturali, finalmente organismo autonomo dalla impropria gestione inglobata da un secolo nel ministero Pubblica Istruzione. E' al governo Spadolini che si deve questo grande passo con la legge 805 del 1975, che struttura il neoministero in un Consiglio Nazionale, cinque Comitati di Settore (ex-Consigli Superiori), quattro direzioni centrali, quattro prestigiosi Istituti Centrali (catalogo, biblioteche, patologia del libro, restauro), un Istituto Nazionale per la grafica, quattro tipi di Soprintendenze territoriali per competenza specifica (archeologica, artistica e storica, ambientale, archivistica), raccordate in quattro conferenze annuali dei capi ufficio regionali. L'anno successivo con la legge 44/1975 si conferirono competenze nella spesa ai soprintendenti e si aboliva la distinzione tra soprintendenze di prima e seconda classe.

Ci furono poi piccoli aggiustamenti sia con la legge Ronkey n. 4/1993, che consentiva seppur timidamente servizi editoriali e di vendita di cataloghi e riproduzioni di opere, di caffetteria (ma anche installazione di impianti di sicurezza, mobilità di personale pubblico e inserimento di

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personale volontario) presso i musei, sia con il DL 112/1998, che stabiliva una precisa definizione dei beni culturali "quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà". Venivano inoltre definiti anche i termini, tuttora largamente usati, di "beni ambientali", "tutela", "gestione", "valorizzazione" e "attività culturali". Con questo testo legislativo si allargava dunque la definizione tradizionale di "bene culturale", che da allora poteva comprendere anche fotografie, audiovisivi, spartiti musicali, strumenti scientifici e tecnici.

Il punto di approdo definitivo dopo altre sei decenni di attesa è il Codice dei beni cultuali e del paesaggio del 2004, che aggiorna al meglio tutta la legislazione sui beni artistici e sulle attività culturali.
Dieci anni dopo, nel 2014, la struttura di tutela che ha sempre funzionato, pur con tutte le sue rigidità necessarie soprattutto nel più grande paese di furbi del mondo, è stata distrutta "con il recente decreto, convertito in legge e applicato per gradi successivi, del Ministro per i Beni, le Attività culturali e il Turismo n. 44 del 23 gennaio 2014, che disarticola e dissolve il sistema della tutela di patrimonio e paesaggio voluto dall’art. 9 dalla Costituzione", separando la tutela dalla valorizzazione, come ha dedotto lucidissimamente Jadranka Bentini nel precedente numero di Panorama Musei. Gli uffici, unificati e appiattiti nelle competenze, sono stati dissociati dai musei, unificati in poli museali, con gestioni e direzioni separate, in nome di una economia di spesa, che di fatto non c'è e non ci sarà; ci sono in entrambi i comparti i vertici, i capi superpagati, che decidono tutto su tutto, che sono il trasferimento caricaturale della figura del capo dalla politica alla tutela dei beni culturali: il leader politico ha generato (dopo averlo nominato tramite ministero) il capo delle decisioni, un giudice monocratico che assume le decisioni al di là delle strette sue competenze. Il sistema italiano di tutela, unico al mondo, che trovava la forza e la sua caratteristica conservativa nella logica della valorizzazione delle opere, che dava motivazione e competenza al gestore- soprintendente, ora è spento, sventolando demagogicamente il principio dell'antiburocrazia sopra tutto: non è più alimentato dal coinvolgimento nella valorizzazione delle opere museali esposte e immagazzinate ed è consegnato a gestori diversi e indipendenti, non comunicanti. In Italia, anche in questo triste caso, ce l'hanno messa tutta a distruggere piano piano quello che funzionava con regole precise, solo perchè erano regole da rispettare sempre e comunque.


 

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