2007, Aprile | I salumi di Piacenza dal XIV al XVIII secolo

Salumi tipici piacentini

La lavorazione e la terminologia

Piacenza è da secoli un importante centro di produzione di salumi di alta qualità, protetti da marchi prestigiosi. Per questo è utile tracciare una breve panoramica storica di questa specificità. L’allevamento dei suini era già praticato nell’antichità, ma la conservazione della carne fu adottata nel Medioevo attraverso l’essiccazione o l’affumicatura. L’arte dell’insaccatura però nasce in un’età lievemente successiva e si sviluppa soprattutto in Emilia, che mantenne uno dei principali centri di produzione prima a livello domestico e poi su più larga scala. Nel Trecento infatti i lardaroli, poi chiamati bottegari di lardi, di strutti e carni salate, erano aggregati al Paratico dei formaggiari, che divenne sempre più importante economicamente tanto che, come per il cacio piacentino che fungeva da riferimento nella qualità per tutti i formaggi italiani, anche per i salumi la valutazione di mercato era molto alta e distintiva (roba de Piasensa). Nei censimenti del secolo XVI si trovavano sempre quasi in ogni casa uno o più porci, in proprietà oppure in “soccida” (comproprietà): il contadino allevava il porco e ne teneva una parte al momento della macellazione, per dare tutto il resto al proprietario. La tecnica dell’insaccatura si era ormai consolidata tanto che anche un frate, il carmelitano piacentino Falcone, si spinge a dare la ricetta per fare salumi, trascritta alla fine di questo articolo. Il prezioso documento del 1793 presenta i prodotti derivati dalla carne suina sottoposti a calmiere, cioè ai prezzi controllati e imposti per la vendita, per la Val Nure: vi si trovano il salame grasso e magro con aglio, presciuto con e senza osso, lardo, strutto, ame e gambetti, panzette e gole, songia, candele; qui manca la bondiola, cioè la coppa, che è trattata in altri specifici documenti.

 

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