La formazione romana di Gaspare Landi

A seguito della grande mostra dedicata al maggior pittore neoclassico, il convegno ha risvegliato attenzioni, tra cui quella sulla determinante formazione romana e sul felice sodalizio con Canova.

Per spiegare questo contributo al Convegno su Gaspare Landi, devo premettere che undici anni fa era nata l’idea di preparare il progetto per una mostra su Gaspare Landi con Antonio Braga e con Gian Lorenzo Mellini, che purtroppo ci hanno lasciato e a cui rendo onore. Il progetto consisteva nell’individuazione di opere da esporre e nel completamento degli studi preliminari che era in corso, sul versante fiorentino con Gian Lorenzo che portava su Labyrnthos le sue scoperte e le sue riflessioni critiche e con sua moglie Stella Rudolph che aveva aperto gli orizzonti sulla pittura romana dell’ultimo trentennio (una sessantina sui 282 pittori documentati nel Settecento), sul versante piacentino con gli studi preparatori all’allestimento  della Pinacoteca, le cui opere terminavano proprio con quelle del Landi; in particolare io avrei dovuto occuparmi anche del rapporto tra Landi e Canova, del loro ruolo nei  progetti dei musei napoleonici e nella diffusione dei   canoni ufficiali del neoclassicismo, passando per l’Accademia di San Luca. Dopo il ritrovamento dell’Autoritratto giovanile (con altre opere) a Piacenza e la ricerca di opere nelle raccolte italiane e straniere (francesi soprattutto), si presentò l’opportunità di avvalersi della collaborazione di una giovane laureanda (con l’amico Giuseppe Bertini dell’Università di Parma), la quale svolse un lavoro di ricerca egregio, che ancora oggi attende di essere utilizzato, anche al di là della attuale prestigiosa mostra in atto promossa dalla Banca di Piacenza, per grande merito del suo Presidente, Corrado Sforza Fogliani. Attendemmo invano che nell’avvicendamento delle Amministrazioni Comunali qualcuno appoggiasse il nostro progetto-Landi, finchè tutti desistemmo; Monica Merli, almeno,  si laureò nel 1999. Il lavoro di trascrizione delle lettere al marchese Landi era stato fatto da lei e addirittura erano state reperite e catalogate le opere del Landi  richiamate in quelle lettere, mentre io mi ero occupato delle opere citate in  quelle a Gian Paolo Maggi. Grazie a  questa mostra di oltre cinquanta opere  in Palazzo Galli, che ha dato l’attesa  partenza al grande pittore piacentino-romano, si è rimesso in movimento il nostro lavoro, anche per rendere omaggio a Gian Lorenzo Mellini e ad Antonio Braga che vi avevano riposto fiducia e speranza,  per cui si tratterà di compilare nei prossimi mesi  un Catalogo Generale con le opere certe del Landi, che annoverano all’incirca a 170, di cui circa 60  ritratti, a cura mia e di Monica Merli, con la collaborazione di Stella Rudolph e del marchese Manfredi Landi di Chiavenna per le ricerche nell’ archivio di famiglia.

 

Vengo strettamente all’argomento sulla formazione romana del Landi. Come è noto egli aveva ricevuto i primi elementi da diversi pittori locali, non proprio sprovveduti nella tecnica, semmai lontani dalle tematiche attuali sull’ideale classico e sulla sua attuazione. Intanto occorrerà fare più luce sia sui suoi primi maestri a Piacenza, Gaspare Bandini, liquidato come mediocre, Antonio Porcelli, che il severo Landi definisce “non senza merito” e dedito allo studio del Guercino, sia sullo zio Emanuele Landi, militare di alto rango, cioè alto ufficiale,  al sevizio ducale. A circa 17 anni aveva cominciato a dipingere da solo per guadagnarsi da vivere, partendo da quadri di tema religioso (S. Luigi, 12 Apostolie 4 Evangelisti, pale d’altare per le chiese di  SS. Nazzaro e Celso e  di Vigoleno, 6 Santi francescani ovali per la sacrestia della chiesa di S. Maria di Campagna, di cui il S. Giacomo della Marca ha uno scorcio poderoso, nonostante la debolezza della figura di profilo), ma anche battaglie e molti ritratti; le sue battaglie, genere di larga diffusione a Piacenza ma certo non congeniale al Landi,    si trovavano ancora nel 1829  nelle collezioni piacentine presso il conte Parma e il maestro Nicolini. Gaspare aveva lavorato per conto di un certo Antonio Curotti, commerciate che raccoglieva commissioni di dipinti. A fare la sua fortuna era stato il Ritratto del conte Alfonso Scotti da Fombio, che fu visto dal marchese Giambattista Landi, il quale  aveva cominciato ad apprezzare il talento del giovanissimo pittore in tre incontri personali e aveva poi deciso  di mandarlo a sue spese a Roma a perfezionarsi.

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