2012, Aprile | Romano Tagliaferri: la macchina del colore

Romano Tagliaferri, Le Déjeuner sur l’herbe

Dopo la formazione con il maestro Concerti all’Istituto Gazzola e con Mauro Reggiani a Brera, diplomatosi al Toschi di Parma, Romano, che subito si presentava come abile disegnatore e geniale colorista, negli anni Sessanta ha mosso i primi passi nella pittura attorniato dai mostri sacri della quasi celebre Scuola del Realismo Fantastico di Piacenza: Foppiani, Spazzali, Cinello, Armodio, scegliendo però un percorso suo volto alla ricerca della qualità estetica della materia, rappresentando vegetali e oggetti in cui aggiungeva frammenti archeologici, imprimendovi significati simbolici o psicologici. L’inclusione delle sue opere nella grande mostra Foppiani e i piacentini del Fantastico presso lo Spazio Rosso Tiziano di Piacenza del 2006 è connotativa della provenienza della sua cultura artistica. Dal Barattolo del 1966, dedicato a sua moglie Anna, pure pittrice, metafora del suo essere galleggiante in un ambiente magmatico, all’ironico autoritratto Narciso del 1974, circondato da elementi vegetali e animali esotici fino alla Pendola fossile del 1980 e ai successivi Fiori immersi in una viscosità multicolore, la sua veggenza panica e vitalistica del cosmo composto di materia gorgogliante e primordiale, in eterno movimento lentamente cambia e lascia spazio alla ricerca di valori pittorici puri. A partire dagli anni Novanta, Romano si lascia andare verso un astrattismo fantastico, che aveva sempre compresso, costituendo un nuovo linguaggio con valori non geometrici ma figurali; vede il colore non come elemento scalare dello spettro o come stesura uniforme per creare tonalità, ma come veicolo di emozioni e di senzazioni intime.

 

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